La non cultura di Torino (e del presente)

Culicchia ha parlato di chi, per evitare gli incubi, sogna cose di plastica. Succede a Torino, una città che apparentemente ha puntato sulla cultura ma invece fa dell’intrattenimento. Io, che conosco un po’ la città, ero d’accordo. E ho anche pensato. Diamine, di-vertirsi è l’esatto opposto di fare cultura. Perché la cultura ti porta al centro del tuo essere, non di-verte. Non sposta l’attenzione dalle cose vere, ma ti ci trascina dentro. Come la notte di cui parlava Augé. Una cultura che intrattiene è un ossimoro da cui fuggire a gambe levate. E’ divertirsi con la spocchia di essere colti. Una cosa terribile.

La cultura dovrebbe essere uno spazio sacro e silenzioso, un raccoglimento in cui si dà cibo all’anima.

Tahar Ben Jelloun

Oggi parlerà anche Tahar Ben Jelloun. Autore del bestseller “Il razzismo spiegato a mia figlia”. L’ho contattato telefonicamente. In questo nuovo romanzo parla di Mohamed, il ragazzo che si è dato fuoco dando il via alla primavera araba.
Mi dice che quei ragazzi sono diversi dai nostri sessantottini, perché quelli combattevano per liberarsi da una dittatura feroce. Leggendo le pagine del suo romanzo, mi rendo conto che quello è davvero l’incubo più grosso di tutti. Ragazzi laureati costretti a fare i fruttivendoli e impossibilitati dalla polizia a piazzare il carretto con la frutta, mentre a casa magari hai una famiglia che muore di fame. Uno in un attimo di rabbia si piazza davanti al palazzo del governatore e si dà fuoco. E’ così ovvio. Uno spera che al di là della realtà ci aspetti un sogno di pace e silenzio, la dignità che in vita non si è potuta avere.

La Cina e i due incubi

Il nuovo romanzo di Qui Xialong, scrittore cinese attrezzatissimo, parla della Cina maoista. Lui Mao lo dipinge come un dittatore romano, ferocissimo, e parla dell’incubo delle famiglie bollate come nere, quindi ree di essere capitaliste, quindi da torturare.

Quell’incubo, da cui ancora non si è usciti del tutto (a scuola parlano delle efferatezze di Mao come se fossero stati piccoli errori perché il partito comunista è ancora presente e potente) si passa a un nuovo incubo, che ha tutte le sembianze del sogno. Fare soldi. La terra promessa del Dio denaro. Attenzione, avverte Xialong, a non finire come Pinocchio nel Paese dei Balocchi. E io faccio questa riflessione. Forse meglio rinunciare a sognare, perché il sogno fa presto a trasformarsi in incubo.

Lo strappo al quotidiano

La notte ci rimette al nostro posto. Lo ha detto Augé ieri a chiassoletteraria, e il cielo si è stranamente oscurato. Come se avesse voluto spingerci tutti a raccoglierci, a entrare nella nostra parte più intima, meno luminosa. E da lì può nascere l’utopia illuminista, quella più ragionevole, secondo l’antropologo dei “non luoghi”.

Insomma, la notte, come la letteratura vera, ci riporta al nostro centro, ci tira via dal chiacchiericcio inutile, da tutti questi commerci che ci fanno vagare come fazzoletti al vento, senza radici. Le cose importanti – la notte ce lo suggerisce sotto forma di sogno o di incubo – non sono quelle. Il compito della notte e dell’arte è quello. Lo diceva anche Heidegger.

E di notte il popolo di chiassoletteraria si è davvero raccolto, insieme, tutti insieme, bellissimi, eppure soli, con la disperazione e la felicità che può derivare da questa condizione di monadi. Eravamo incantati ad ascoltare il cantante dal volto plasmabile, Claudio Taddei, che rideva, ma poi ci cantava canzoni tristissime e noi, coi nostri volti sereni, sparivamo dietro le candele. Come per esempio quando ha cantato Dolcenera di Fabrizio (quel Fabrizio, sì).

E poi la lettura di Valentina da NOT I di Beckett. Eccola lì, parrucca bionda, vestito rosso lucido, una ragazza che avrebbe potuto essere Marinella di De André, con la stessa leggiadria, insomma, e la voce profonda come un albero. E le parole che non si arrestavano più, l’energia inarrestabile di riconoscersi viva.

Così, così, ci si risveglia dall’incubo. Solo così.

Non vogliamo sdilinquimenti, ma cuori frullati.

Non mi piacciono gli attori che leggono le poesie. Iniziamo col dire questo. E perché mai? Perché enfatizzano, puntano tutto sul poetico che è totalmente diverso dalla poesia. Non c’entra nulla, a dire il vero. Non c’entra proprio nulla.

Quindi ieri Licia Maglietta ha recitato le poesie di Wislawa Szymborska e io non mi sono divertito molto. Ho applaudito, oh sì, ho anche fatto partire un applauso, ma battevo le mani per la poetessa, non per la performer. Voce tremolante, piangente, sguardo perso. Ma la poesia è altro! La poesia è secca, la poesia è uno schiaffo, e se accarezza lo fa senza melensaggine. Quella della Szymborska, almeno, che non a caso è una poetessa, non una versificatrice.

Attori che recitano così portano in auge il luogo comune della poesia “poetica”, cuore sole amore, sdolcinata e sdilinquente. Fuggire a gambe levate da questo.

Propongo delle poesie della Szymborska per riflettere su questo tema. Dall’incubo non ci si sveglia con un dolcificante, ma con un frullato di cuore. Il che è diverso. Leggi il resto dell’articolo

Il vostro incubo migliore

Ci vogliono schiaffi e pugni per svegliarvi dal vostro torpore. E perché non un incubo? Perché no. Già. La notte di chiassoletteraria non vi farà dormire in pace, fratelli, perché la vera letteratura FA MALE. Non vi lascia dormire sonni tranquilli. Sradica ogni certezza e vi lascia sudati e spaventati.

Dico parole troppo dure? Sono cattivo?

Eh beh. Sono un incubo. Che vi aspettavate?

Ma state tranquilli, state sereni. La consapevolezza non è mai rassicurante, sulle prime, ma salva. Oh, credetemi, salva. Lasciatele fare il suo corso e non rimarrete delusi.

Venite a leggere. Fatevi trasportare da questo nuovo mondo. Gettatevi a braccia aperte, all’indietro. Sarà un volo lunghissimo, atterrerete da qualche parte. Nessuno sa dove. Non svegliatevi, proseguite, e non dormite. State.

Io sono la letteratura, l’incubo migliore che potete fare.